Quarto: liberarsi dalla paura della povertà
Quando fu inventato il fast-food (McDonald’s) si decise di applicare i principi del Taylorismo e della catena di montaggio alla produzione di cibo. Il processo produttivo fu estremamente spezzettato in una serie di azioni ripetitive ed elementari, misurabili, e “ottimizzabili”. Uno degli scopi era anche il mantenimento di una bassissima professionalità (infatti più semplice è la mansione e minore è la professionalità richiesta) in modo tale da a. pagare al lavoratore stipendi irrisori e b. non aver nessun problema nel reperimento di manodopera, in quanto la mansione elementare si apprende praticamente all’istante. Per cui nessun cuoco specializzato, nessuna necessità di formazione, nessuna perdita in caso il lavoratore se ne vada in quanto la mansione è così elementare che può essere appresa da chiunque in tempi brevissimi.
A volte mi sembra che la specializzazione esistente nella nostra società sia finalizzata allo stesso scopo. Una volta i nostri nonni sapevano fare un po’ di tutto: se si rompeva una scarpa la riparavano, se c’era da ridipingere la casa ci si attrezzava, un mobile mancava, e si provvedeva, e così via. Oggi sembra che non si possa fare nulla, se non si è specializzati e non si ha una specifica autorizzazione. Anche l’esame di guida non si può più fare da privatisti, è indispensabile aver preso qualche lezione di guida da una scuola – autorizzata. Credo che questa mancanza di autonomia sia funzionale ad un progetto di società in cui le persone non sono autonome in quasi nulla: certo, possono scegliere tra Coca-Cola e Pepsi, tra McDonald’s e BurgerKing, tra Dash e Dixan, ma questa è solo un’illusione di libertà.
Con la crisi finanziaria degli ultimi anni, a partire dal 2008, moltissimi sono terrorizzati all’idea della perdita del posto di lavoro fisso (chi ce l’ha), o dall’incertezza del futuro e dall’impossibilità di fare un progetto di vita, specialmente fra i giovani. So di giovani ingegneri che accettano di fare qualunque cosa, pur di non restare a casa, a stipendi che neanche una badante rumena accetterebbe (500 € al mese). Perennemente ricattabili, con contratti a tempo determinato o a progetto, di 6 mesi in 6 mesi, prendere o lasciare. La crisi spaventa anche perché i meccanismi grazie ai quali si è prodotta sono complicatissimi anche agli addetti ai lavori: si parla di derivati, di futures, di opzioni, di sottostanti e di bailout, si accenna a iniezioni di liquidità (una siringa di fisiologica?) forse proprio per impedire che il meccanismo venga compreso dai più. Nel capitoli sul signoraggio di Ingannati ho spiegato come l’emissione di denaro permetta a pochissimi (chi crea il denaro) di acquisire fortune inestimabili (in realtà non si parla più di ricchezza: si parla di vero e proprio esproprio del creato), mentre ai più riduce proporzionalmente la capacità di spesa, con una inflazione galoppante.
Sul tema del denaro torno più avanti, per adesso voglio sottolineare come (ancora una volta grazie all’addestramento operato dai media, per questo il percorso tracciato in queste note prevede l’eliminazione della TV e dei giornali all’inizio del processo di liberazione) si sia persa di vista la realtà delle cose, dando alla finanza un valore assoluto, quando invece la moneta dovrebbe essere funzionale all’economia, e non viceversa. Cosa intendo dire? Intendo dire che la ricchezza vera di una persona così come di un popolo non sta nei soldi che ha in conto corrente, ma nelle capacità, nella creatività, nella volontà di condividere, di rendere il bene comune veramente un valore trasversale. Certo che il denaro serve: è un lubrificante che permette lo scambio fluido di beni e servizi, molto meglio del baratto. Ma se chi crea il denaro ne fa un utilizzo strumentale al proprio interesse privato, aumentando o diminuendone l’erogazione a piacere, per alternare periodi di grande liquidità (espansione dell’economia) a periodi di restrizione del credito (contrazione dell’economia) al fine di accaparrarsi i beni della terra, questo non ci deve far perdere di vista alcune verità fondamentali.
Primo: anche se la finanza crolla, le galline continuano a produrre uova e gli orti a produrre pomodori. Per quanto banale possa sembrare questa affermazione, quello che si vuole ricordare, ancora una volta, è che la moneta è funzionale all’economia e non viceversa. Ma l’economia reale viene prima.
Secondo: la ricchezza è sicuramente ambita: anzi dirò di più: non è un peccato aspirarci, si tratta semplicemente di una ambizione di ritorno allo stato iniziale in Dio ci aveva creati. Ma ricchezza di cosa? Troppe volte si intende per ricchezza unicamente la ricchezza di denaro. La ricchezza invece può includere molto di più: ricchezza di tempo a disposizione; ricchezza di amici; ricchezza di spazio; ricchezza di idee; ricchezza di interessi; ricchezza di ispirazioni; ricchezza di bello da vedere e bello da dare. Si potrebbe obiettare che di queste cose non si mangia, è vero; ma agli amici credenti ricordo che Gesù ha detto: “Guardate i gigli dei campi, non filano e non tessono, eppure neanche Salomone, con tutte le su ricchezze, ebbe mai un vestito così bello”; e anche: “non valete voi forse di più di un passero? E allora, se il Padre vostro che è nei Cieli non lascia nel bisogno un passero, volete che si dimentichi di voi?”. Quindi, ogni volta che abbiamo paura e ci preoccupiamo del domani facciamo un torto a Dio, dimostrando di non fidarci di Lui. Come mi ha detto una volta un amico prete: “L’occupazione viene dal Signore; la pre-occupazione viene dal demonio”.
In generale, la “sobrietà” è un valore da riscoprire (come affermato nell’omonimo libro di Francesco Gesualdi) ed esistono sempre più esempi, anche fra non credenti, come Simone Perotti (“Adesso basta”) che hanno fatto del cosiddetto “downshifting” (invertire la tendenza: anziché cercare sempre di più, imparare a vivere sempre con meno) una vera e propria filosofia di vita: esistono comunità di famiglie (ACF, ad esempio) che fanno della condivisione, della disponibilità e della vita in comunità un modello facilmente replicabile.
Ma non è tutto: il diffondersi di internet sta permettendo lo sviluppo di forme di comunicazione, scambio e collaborazione in rete, anche fra persone che non si conoscono o non si sono mai viste in faccia. Io ad esempio ho tradotto e sottotitolato diversi documentari inglesi, oltre a numerosi video su Youtube, che ho poi messo a disposizione degli altri; alcuni li hanno ripresi ed arricchiti; collaboro a progetti di traduzione e sottotitolazione dell’associazione degli architetti ed ingegneri per la verità sull’11 settembre: e tutto questo in rete, senza essermi mai spostato da casa né aver mai conosciuto di persona qualcuno dei miei interlocutori abituali. A cosa sta portando tutto questo? Alla diffusione immediata e impossibile da bloccare di informazioni, scoperte e tecnologie che in passato avrebbero tranquillamente potuto essere tenute nascoste e sconosciute ai più. Penso ad esempio agli esperimenti riusciti di “fusione fredda” (in realtà si tratta, per essere più precisi, di LENR – Low Energy Nuclear Reaction), dove a fronte di poche centinaia di watt elettrici in ingresso si sono avute produzioni di migliaia di watt termici in uscita: non appena la tecnologia sarà disponibile e replicabile a livello industriale questo cambierà radicalmente il mondo come lo conosciamo oggi; penso agli esperimenti che si stanno tenendo con successo nella propulsione di veicoli ad idrogeno (H) o ad ossidrogeno (HHO); penso alle informazioni sulle proprietà terapeutiche della vitamina C (Linus Pauling) o sulle proprietà antitumorali del THC, estratto della canapa (Rick Simpson); e la lista potrebbe continuare. Per gli scettici invito a considerare quanto già successo nel mondo delle telecomunicazioni: una chiamata intercontinentale, solo 15 anni fa, poteva costare l’equivalente di un paio d’euro al minuto, oggi si parla sì e no di pochi centesimi, quando addirittura non si effettuano comunicazioni gratis grazie a Skype o simili.
Cosa voglio sottolineare con questo? Che anche se la ricerca del posto fisso è ormai una speranza destinata, per moltissimi giovani, a restare un sogno non realizzato, grazie alla rete e al libero scambio di informazioni le possibilità che si aprono sono veramente sconfinate, e abbandonando il parametro del denaro come unica misura della ricchezza scopriremo che potremo essere molto più ricchi di quanto avevamo osato sperare.
Sto leggendo con interesse il Suo sito (o blog ? non ho mai ben capito la differenza..) che ho trovato da “liberamenteservo” a proposito di signoraggio; e ora sto piano piano leggendo i Suoi testi; e devo dire che condivido molti Suoi articoli; anzi ammetto che sono piacevolmente sorpreso di sentire parlare un cristiano cattolico (come mi pare di avere capito Lei si professi) di certi argomenti “da complottista comunista”..
Mi permetta pero’ di esprimere il mio amaro dissenso sulla citazione della pur bella frase di Gesu’ riguardo a gigli dei campi e padri celesti che non si dimenticano di noi..
bella frase, anche confortante, ma che probabilmente voleva limitarsi a insegnare che non si deve dare importanza al lusso; al lusso, non al necessario per vivere..
ma Lei ne estende troppo la interpretazione: e allora bisognerebbe spiegarlo a chi muore per carestia in Africa, che non deve preoccuparsi, senno’ “dimostra di non avere fiducia in Dio”; o, restando piu’ vicino, ai disoccupati, o agli imprenditori che si sono suicidati ultimamente…
Insomma, per favore, basta con la storia di Dio-che-non-si-dimentica-di-noi …
e’ solo retorica, convinzioni che si puo’ permettere solo chi non e’ coinvolto davvero (e io sono ben coinvolto, per persone care).
Molte volte i cristiani farebbero meglio a ricordare il secondo comandamento
(della tradizione cattolica).
Perdoni lo sfogo. Cordialmente,
Andrea M. Pinna, Veduggio con Colzano MB
Grazie delle osservazioni; ma non ho capito dove avrei citato a sproposito la frase di Gesù… Comunque resto convinto che la preoccupazione sia da sostituire con l’occupazione: occupazione per chi ha bisogno, per chi ci chiede una mano, ecc. (“avevo fame e mi avete dato da mangiare…”).
Forse c’è una incomprensione sul concetto di “preoccupazione”…
@Andrea M. Pinna
Suvvia, chi si accontenta gode!
La vita è lunga abbastanza per trarne giovamento, SEMPRE!
E se questa non basta o non è bastata, ci saranno altre opportunità…
… è esperienza vera e provata.
abuso ancora della Sua pazienza, e cerco di non rubare troppo spazio con i miei vaneggiamenti.
Premetto che concordo sul contenuto del Suo articolo: il nostro dialogare qui e’, in qualche modo, una prova del diffondersi di una nuova comunicazione, che permette a sempre piu’ persone di riconoscersi “nuova umanita’”;
e’ bello scoprire di avere idee simili, con persone provenienti dalle piu’ disparate esperienze; scoprire che forse siamo davvero in molti ad avere preferito l’amore al potere, a volere un mondo diverso e basato su solidarieta’ e sobrieta’, accontentandosi del necessario, e cosi’ via.. (quantomeno conforta scoprire di far parte di una minoranza che non e’ composta solo da quattro gatti..)
Il mio appunto e’ certo dovuto al mio rapporto “conflittuale” con Dio, sullo specifico assioma che il “Padre Celeste” provveda sempre alle nostre necessita’.
personalmente io per anni non mi sono pre-occupato delle cose materiali: ero contento di riuscire a mantenere la mia famiglia e non farle mancare il necessario (un “lusso” era comprare la pizza e mangiarla tutti insieme a casa… o un ciclomotore usato quando il ragazzo compi’ 16 anni e doveva usarlo per andarci al lavoro). Alcune grosse difficolta’ si risolsero con l’aiuto di un inaspettato premio, e con una trasferta per lavoro che mi permise di badare a pratiche burocratiche indispensabili (ecco, lo vedi l’aiuto del Cielo..)
Poi pero’, vicissitudini familiari (or sono due lustri) mi portarono infine alla rovina; a volte la sera mi chiedo se valga la pena arrivare al mattino dopo per tentare di andare avanti, a lottare per rinnovare debiti che prosciugheranno il mio stipendio per altri due lustri
(e tutto per aiutare, nonostante tutto, la persona a me cara; non certo per essermela egoisticamente “tolta dai piedi”)
Anni fa ne parlai con un frate, che mi diede pure la colpa per non essere seguace del vero Dio: impudente superbia, questa si’ prerogativa diabolica, di coloro che credono di avere il monopolio anche di Dio (a dire il vero trovai anche frati e preti piu’ comprensivi.. ).
E allora le convinzioni si frantumano e, aldila’ del proprio caso personale, vedi con altri occhi le vicende di gente arrivata al gesto estremo: per non poter onorare un debito, o per l’impotenza di non poter salvaguardare il lavoro ai propri dipendenti..famiglie sul lastrico..
Che gli dico a questi: fai un torto a Dio, dimostri di non avere fiducia in Lui ?
Oppure a quelli che muoiono di fame in Africa: gli raccontiamo dei gigli del campo ?
Io vedo che nella realta’ la vita non funziona come nella storiella evangelica (ahime’).
Non si puo’ sostenere che Dio provvede alle nostre necessita’, e quando poi cio’ non succede, cavarsela con un “e’ un mistero”.
la vita come la meteorologia: domani bel tempo.. oppure piovera’.
E’ evidente che il Piano Divino e’ a noi ignoto, e raccontare di gigli e passeri e’ solo creare illusioni destinate a restare deluse.
Mi piace molto il dialogo dell’abate Faria con Edmond Dantes (Il Conte di Montecristo): io non credo piu’ in Dio; non fa nulla, Dio crede in te.
Per questo io penso che il secondo comandamento: Non nominare invano.. significa che e’ inutile tirarLo in ballo. Forse a volte il Cielo interviene (in modi imperscrutabili e quasi mai percepibili), ma non e’ una certezza, per cui non facciamoci affidamento e non culliamoci nella speranza che poi il Cielo ci aiutera’..
Mi pare fosse San Tommaso d’Aquino a dire: dobbiamo vivere come se Dio non ci fosse, pur sapendo che c’e’..
Mi scusi per la prolissita’. Saluti, Andrea Pinna
41 “Poi dirà ai malvagi alla sua sinistra: “Andatevene, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli;
42 perché avevo fame e non mi avete dato da mangiare, avevo sete e non mi avete dato da bere,
43 ero straniero e non mi avete dato ospitalità, ero nudo e non mi avete dato dei vestiti, ero malato e in prigione e non siete mai venuti a farmi visita!”
44 “Allora quelli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato, straniero o nudo, malato o in prigione, e non ti abbiamo aiutato?”
45 “Ed egli risponderà: “Tutto quello che non avete fatto per aiutare anche l’ultimo di questi miei fratelli, non l’avete fatto neanche per me!”
46 “E questi se ne andranno nella punizione eterna, mentre i giusti entreranno nella vita eterna”.
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Troppo spesso dimentichiamo queste parole, rendendoci tragicamente colpevoli delle azioni che altri compiono per la nostra “incuria”.
Grazie Andrea della tua preziosa testimonianza; chissà che serva a molti (a me per primo) a ricordarci come Dio ci parlerà, nell’ultimo giorno.