Un pomeriggio di metà giugno del 1979, nello stadio di Bologna, cominciavo il riscaldamento per la finale dei campionati italiani allievi di atletica leggera, 400 metri piani. Non ero per nulla nervoso, anzi: ero già andato oltre le aspettative qualche mese prima quando, nonostante un fermo di circa tre mesi nell’allenamento invernale per una periostite, ero riuscito a fare il minimo per la partecipazione ai campionati. La mattina poi avevo fatto uno dei 6 migliori tempi per cui mi ritrovavo lì, in finale: avevo già vinto due volte, comunque sarebbe andata. E fra quelli che si riscaldavano, cominciando con le corsettine in souplesse, ci riconosciamo fra i sei finalisti, e dopo un po’ siamo tutti e sei a riscaldarci insieme, a chiaccherare, a conoscerci. Chi dal Veneto (io) chi da Milano, Genova, Roma, e poi lui, questo meridionale di Potenza dagli occhi chiari e uno sguardo buono. Ma che poi, un’ora dopo, si rivelò essere il vero fuoriclasse: diede 7-8 metri a tutti noi (50.54 lui, per la cronaca); noi che, fra il secondo e il sesto posto eravamo schiacciati in pochi centimetri (per la cronaca, io 51.30, il terzo 51.32 e gli altri a pochi centesimi di distanza).
Che fosse un vero fuoriclasse lo si capì l’anno successivo quando, nella categoria juniores (terza, quarta e quinta superiore), come cadetto vinse di nuovo (47.30, un miglioramento di oltre 3 secondi in un anno!) (incredibile come certi numeri ti restino impressi nella mente nonostante gli anni…)
Ho conosciuto Donato nel corso di alcuni raduni alla scuola nazionale di atletica leggera di Formia, allenati da quel Sandro Donati ora famoso per le sue lotte al doping, che gli hanno attirato le ire di un certo establishment che ha preferito sacrificare una medaglia d’oro in Brasile (Schwazer) pur di dimostrare il proprio potere e dare una lezione (colpirne uno per educarne 100) agli insubordinati (*).
Era il lontano 1979: l’anno del record mondiale di Mennea, 19.72 a Città del Messico sui 200 Metri, della Simeoni con 2.01 nel salto in altro, e questi personaggi ci ispiravano a fare del nostro meglio, a superare i nostri limiti, a dare sempre di più. Perchè nell’atletica, almeno per come la vivevo io, non è tanto un confronto con gli avversari, ma contro sè stessi, per vedere dove si riesce ad arrivare, per abbattere un limite dopo l’altro, un record personale dopo l’altro.
Donato lo ricordo come un ragazzo buonissimo, semplice, sempre genuino e spontaneo; piaceva molto alle ragazze (e qui mi fermo….) ma, nonostante fosse chiaro che lui era un fuoriclasse di un altro pianeta rispetto a noi, non si atteggiava mai nè perdeva la sua innata umiltà.
Ricordo di averlo rivisto molti anni dopo, ad un meeting di atletica leggera, lui era già famoso, con le sue due finali olimpiche, eppure si fermò con me come se ci fossimo visti il giorno prima, ti metteva a tuo agio con semplicità e naturalezza.
La notizia che ho visto oggi per caso sul sito dell’Ansa, dove tra l’altro non vado quasi mai, mi ha colpito e un po’ rattristato.
Ma sono sicuro che dove sta adesso sta continuando a correre e macinare un record dopo l’altro – da vero campione quale è stato e sempre continuerà ad essere.
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(*) Sul sito della Fidal non è neanche citato fra i grandi del nostro sport: ad esempio è citato Benvenuti che sta dietro a Sabia come miglior tempo e posizionamenti alle olimpiadi. Sarà che Sabia ha preso le difese di Donati e Schweitzer, e per questo è stato “oscurato” dalla dirigenza Fidal?
Riposa in pace con Dio, Gesù Donato lo sapeva! Eri un atleta e una persona eccellenti, le mie condoglianze alla famiglia, agli amici e al popolo italiano con questa pandemia, che punisce tutti!