Si può facilmente condividere come l’impostazione di base della medicina moderna si poggia su alcuni assunti:
- la malattia è un nemico da combattere; prima lo si fa, e meglio è; per questo la prevenzione è fondamentale, per sconfiggere il nemico quando è ancora piccolo e inerme, prima che si manifesti completamente;
- per condurre questa battaglia è indispensabile avere delle armi all’altezza: i farmaci;
- i processi nel nostro organismo sono regolati in maniera meccanicistica: le reazioni, all’interno del nostro corpo, rispondono a leggi e regole di natura meccanica, come all’interno di un meccanismo, anche complesso, ma sempre deterministico, concreto, senza alcuna interazione con la parte spirituale e/o mentale.
Nonostante ci siano alcune voci fuori dal coro (si veda ad esempio la bellissima conferenza TED di Rupert Sheldrake, o si pensi al crescente interesse verso gli aspetti psicosomatici della malattia), è sotto gli occhi di tutti che chi si discosta da questa impostazione corre grossi rischi: Hamer stesso, radiato ed incarcerato due volte, ma anche le sempre più numerosi radiazioni di medici che si permettono anche solo di sollevare qualche dubbio sugli assiomi intoccabili (ormai elevati quasi al rango di “dogmi”) dominanti (vedi ad esempio qui o qui).
Molto probabile che si sia venuta a creare questa situazione per l’incontro di almeno due interessi:
- gli interessi di chi, dalla produzione e commercializzazione dei farmaci, trae immensi e ripetitivi guadagni;
- la pigrizia di chi di fronte allo stato di bisogno/malattia, non vuole altro che l’uscita da questo stato, senza farsi troppe domande o mettersi troppo in discussione.
Ma dove sta il problema? Cosa rischiamo di perdere con questa impostazione dominante? Io personalmente credo che la non conoscenza dele leggi di Hamer, specialmente per chi ha una visione più elevata dell’uomo, e capisce l’interessenza di corpo, mente e anima, sia una immensa occasione sprecata, e vorrei provare a dare il mio contributo per chi, operando nel campo della salute, è animato da fede in Dio e voglia cimentarsi nell’affascinante avventura di curare la persona piuttosto che la malattia (sempre che il malato lo voglia!).
Il ragionamento è abbastanza semplice. Lo metto giù in forma di dialogo ipotetico con un medico credente.
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Amico provocatore: Allora siamo d’accordo che il mondo, il Creato, l’Uomo, ecc., non sono frutto del caso ma di una Mente Intelligente, di un Creatore, insomma, di Dio, no?
Medico credente: Certo.
E questo Dio opera per amore delle Sue creature e- soprattutto – per amore sommo della Sua creatura principale, l’uomo, che addirittura ha creato a Sua immagine e somiglianza.
Ok.
Ma se tutto quello che fa è per Amore, e non fa nulla per caso, sei d’accordo che il nostro passaggio sulla Terra, la nostra vita terrena ha uno scopo, un senso, un significato?
Certo; a questo proposito, cito il catechismo della chiesa cattolica, che dice esplicitamente: “Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e goderlo nell’altra in Paradiso”.
Certo! Ma ti fermo un attimo: siamo d’accordo sullo scopo della creazione, ma se scendiamo un po’ più nello specifico, se ci manda in questa vita, evidentemente c’è un motivo, una ragione per cui qui, e solo qui, possiamo fare qualche esperienza che non potremmo fare altrimenti, sei d’accordo?
Potrebbe essere, vai avanti.
Un po’ come con un bambino: se lo tieni sempre per mano, e non lo molli mai, non imparerà a camminare: se non fa l’esperienza della caduta, non attiverà quei meccanismi di protezione che gli serviranno poi. Così è la nostra esperienza sulla terra, in questa vita: facciamo esperienza che ci insegna cose che non potremmo imparare altrimenti (anche perchè se esistesse una via più breve Dio ce l’avrebbe data, no?)
Forse capisco dove vuoi arrivare.
Così passiamo al secondo punto: il dolore. Sei d’accordo che anche il dolore, che sembra essere parte integrante (e per certi versi inevitabile) della nostra esperienza in questa vita, deve avere un suo senso, un suo scopo, un suo significato.?
Nella dottrina classica si dice che il dolore ci guadagna il paradiso, San Paolo scrive che “l’oro si tempra col fuoco”, ma a me questa è sembrata sempre un po’ tirata, come se Dio pretendesse da noi un sacrificio per vedere “se siamo all’altezza”.
Il dolore è sicuramente utile: se appoggi la mano su una piastra bollente la ritiri subito grazie al dolore che provi; se non ti togli la pelle delle dita con il coltellino è perchè ti fa male; in questi casi il dolore che provi è un male o un bene?
Anche se mi fa male, fisicamente, è sicuramente un bene che io lo senta, mi impedisce di fare danni ben peggiori! Quindi mi stai dicendo: il dolore che provo non è un segno della cattiveria di Dio ma un segno del Suo Amore: è un campanello di allarme che ci previene dal fare danni ancora peggiori.
Esatto. Questo è il succo del discorso. Per queste esperienze elementari è molto facile comprenderlo: ci arriva chiunque. Quando però si passa a malattie più gravi, questa sapienza viene completamente dimenticata (al punto che, al contrario, c’è chi si permette di dire, come Veronesi: “So che Dio non esiste perchè ho visto bambini morire di leucemia”). In realtà, se pensiamo alla cause delle malattie più “importanti” (pensa a tumori, leucemie, diabete, psoriasi, ecc.ecc.), in quel caso quale può essere l’utilità?
Utilità? In realtà noi medici non abbiamo mai pensato ad una utilità: pensiamo a curarla, e anche prima possibile!
Ma per curarla bisognerebbe sapere cos’è che l’ha causata; cosa sappiamo delle cause?
Beh, la cause sono sempre le stesse: genetica/familiarità, alimentazione, età, fumo in alcuni casi…
Scusa ma se abbiamo detto che A) Dio fa tutto per bene; e B) quello che ci capita ci serve per la nostra crescita, come esperienza, se dico che una malattia è genetica, o che deriva da cellule impazzite, il malcapitato che lezione può trarne? Cosa può essere portato a cambiare, nella sua vita, a seguito di questa malattia?
Beh ma il dolore serve sempre, ti eleva, ti distacca da questo mondo e ti posiziona in un’ottica più spirituale…
Sì ma così dovremmo ammettere che Dio permette il dolore così, a casaccio, come si manda la pioggia: chi prende prende?
Invece la tua idea quale sarebbe?
Si può accettare il dolore per pura fede: sapendo che ha un suo scopo, una sua ragione, anche se questa ragione non viene compresa, e già questo è un grande passo. Anzi, è tutto. Però questo è da santi, e forse non tutti sono disposti ad accettare le cose per fede (o non tutti hanno questa fede cieca, infinita). Oppure, conoscendo le leggi di Hamer, e di come Dio ci ha creati, capire che quello che ci capita è sempre 1) per il nostro bene; 2) per la nostra crescita spirituale. Ma solo se capiamo la profonda e meravigliosa correlazione fra il nostro corpo, la nostra mente el nostra anima. E come ogni evento avverso sia, come il dolore alla mano di cui dicevamo prima, il campanello di allarme che ci dice esattamente dove intervenire.
Certo che sappiamo dove intervenire: se hai un tumore al pancreas intervieni al pancreas, se hai un tumore al seno operi il seno.
Peccato che poi ci siano le cosiddette metastasi, e si muoia magari due anni dopo.
Capita: noi medici non siamo mica Dio, nè abbiamo la pretesa di esserlo.
E fate bene, ci mancherebbe! Ma se uno è animato da fede in questo Creatore buono, laddove non scorge un messaggio, laddove non capisce il senso, non dovrebbe farsi quantomeno delle domande e cercare di capire quale fosse il segnale, l’insegnamento che Dio ci vuole dare?
Secondo te c’è un messaggio sempre? C’è una logica in ogni cosa?
Certo, Dio non gioca a dadi col mondo, per citare Einstein, e non ha previsto che, così, a casaccio, alcune cellule impazzissero. Per cui io dico che quello che capita, capita perchè non si è capito il segnale. Si pensava che il segnale fosse il nemico da combattere, e non si è capito che quello era in realtà il messaggero di qualcos’altro. Quante volte hai sentito dire: “l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”? Abbiamo perso un’occasione: quella di capire il messaggio che quel sintomo ci dava.
Che messaggio mi può dare un tumore, una psoriasi, un diabete?
Nella nostra crescita spirituale dobbiamo fare tutti dei progressi, ma a seconda della nostra storia, del nostro carattere, delle nostre inclinazioni, abbiamo da lavorare su aspetti diversi. C’è chi è troppo attaccato ad una data cosa, che per un altro magari non costituisce un problema, c’è chi deve lavorare sulla propria invidia, chi sulla propria avarizia, chi sulla rabbia, ecc.; ognuno ha un suo percorso da fare.
E questo cosa c’entra con le malattie?
C’entra; perchè, come ha scoperto Hamer, ogni cosiddetta “malattia” è la manifestazione legata ad uno shock che è sì biologico ma che è stato vissuto secondo un percepito individuale. Ed il percepito individuale si può (anzi: si DEVE !) modificare crescendo spiritualmente ed imparando ad abbandonare attaccamenti e paure.
Quindi, se capisco bene, anche le malattie “gravi” sono collegate ad un percepito che dobbiamo imparare a cambiare? E questo per la nostra crescita spirituale?
Sì – ripeto : Dio fa tutto bene, e quello che ci capita non è mai a caso.
Uhm….. La mamma diceva sempre “Tutto ciò che avviene è bene”…
… o anche “non muove foglia che Dio non voglia”…
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