(forse per lo stesso motivo del mangiare proteine da insetti? Copio e incollo questo post trovato sul web)
“Da un anno sono possessore di una auto Full Electric
di ultima generazione: una Peugeot E-208 con una batteria da 50 KWh.
Mi sono fatto convincere dalle fandonie raccontate sul fatto che le auto elettriche sarebbero molto più convenienti di quelle con motore termico. Ebbene, posso dire con certezza, scontata sul mio portafogli, che le auto elettriche sono una colossale fregatura.
L’Unione Europea, non ho ben capito con quale logica e per quale interesse, spinge fortemente per la conversione totale della mobilità dal termico all’elettrico. I principali argomenti per convincere gli utenti a passare all’elettrico sono la scelta ecologica ed il risparmio.
(Quanto alla valenza ecologica dei motori elettrici, non ho gli elementi per affermare se sussiste veramente ma ho seri dubbi anche in considerazione dell’enorme problema relativo allo smaltimento delle batterie esauste.)
Per quanto riguarda invece la assoluta antieconomicità delle auto elettriche, e, problema di non secondaria importanza, la loro faticosissima fruibilità, ebbene qui ho solo certezze, raggiunte dopo un anno di calvario, sia pratico che economico.
Innanzitutto voglio spendere una parola sulla indegna malafede speculativa rappresentata dal costo addebitato all’utente per la energia erogata dalle colonnine pubbliche.
A fronte di un costo medio della energia domestica pari ad € 0,52/KWh, ho dovuto riscontrare che per le ricariche alle colonnine pubbliche viene praticato un costo pari ad euro 0,89/KWh, ovvero quasi il doppio.
Riguardo poi alla infruibilità delle auto elettriche, faccio presente che i motori elettrici di nuova generazione necessitano di batterie con una capacità di almeno 40kwh, che, a causa della rilevanza di tale capienza, necessitano di essere ricaricate quasi esclusivamente presso i punti di ricarica veloce visto che, con una ricarica lenta, per raggiungere il 100% ci vorrebbero almeno 14 ore.
Quindi il problema della scarsissima disponibilità di punti di ricarica pubblici viene enormemente acuito dalla necessità di accedere esclusivamente ai punti di ricarica veloce, che sono circa il 20% della totalità.
Da ciò deriva che se devi fare un viaggio, o ti prendi due giorni per fare 400 km oppure ti fermi almeno un paio di volte per ricaricare nelle postazioni di ricarica veloce, con una attesa per ogni ricarica di minimo un’ora (purtroppo anche la storia che con 20 minuti si raggiunge l’80% della ricarica è un’altra fandonia: ce ne vogliono almeno 40).
Si aggiunga poi che sulla rete autostradale italiana i punti di ricarica veloce sono rarissimi, il che significa che ogni volta che si ha bisogno di ricaricare si deve uscire dall’autostrada e percorrere a volte diversi chilometri aggiuntivi per raggiungere la postazione.
In sostanza un viaggio che con un motore termico richiederebbe tre ore di percorrenza, con un motore elettrico, se si è fortunati a trovare le colonnine funzionanti e libere, se ne impiegano almeno sei!
Veniamo ora alla tanto sbandierata “economicità” delle auto elettriche.
Mettiamo a paragone una piccola utilitaria con batteria da 40kWh ed autonomia di 170 km (che è la reale autonomia su percorso extraurbano rispettando i limiti di velocità, alla faccia della autonomia di 350 km dichiarata dalla casa), con la stessa utilitaria con motore termico a benzina e Gpl:
- A) un “pieno” di energia effettuato collegandosi ad una utenza domestica costa € 20,80 (€ 0,52 x 40kwh = € 20,80);
😎 un “pieno” di energia effettuato collegandosi alle colonnine pubbliche costa € 35,60 (€ 0,89 x 40kwh = € 35,60);
- C) un pieno di 40 litri di benzina costa € 74,40 (€ 1,86 x 40lt = € 74,40);
- D) un pieno di 40 litri di Gpl costa € 29,44 (€ 0,736 x 40lt = € 29,44).
Nel paragone va considerato un “piccolo particolare“: con un pieno di energia si percorrono al massimo 170 km, mentre con un pieno di benzina si percorrono almeno 680 km (considerando un consumo medio di 17 km/l) e con un pieno di Gpl se ne percorrono 560 (calcolando un consumo di 14 km/l).
E qui casca l’asino:
– costo a km di una ricarica domestica = € 0,122 (€ 20,80 ÷ 170km = € 0,122)
– costo a km di una ricarica pubblica = € 0,217 (€ 35,60 ÷ 170km = € 0,209)
– costo a km di un pieno di benzina = € 0,109 (€ 74,40 ÷ 680km = € 0,109)
– costo a km di un pieno di Gpl = € 0,052 (€ 29,44 ÷ 560km = € 0,052).
Quindi, tirando le somme, un pieno di carica elettrica alla colonnina costa il quadruplo di un pieno di GPL.
Il tutto senza considerare che una auto elettrica costa il 30% in più rispetto ad una pari modello termica e che una auto termica può durare anche 15 anni mentre una auto elettrica all’esaurimento delle batterie o della garanzia sulle medesime(dopo non più di 8 anni) vale zero.
Alla faccia delle “scelte ecologiche” per le quali subiamo pressioni da anni: facile così, tanto paga Pantalone.
A questo punto si può giungere ad una sola conclusione: va bene il Green, il rispetto dell’ambiente, l’etica ambientalista, va bene tutto, ma non a spese nostre, non costringendoci a spendere il quadruplo, e, soprattutto, non speculandoci sopra perché quando si tratta di mettere mano al portafogli la gente non è stupida”.
Integrazione
“Le emissioni di particolato delle auto elettriche sono superiori a quelle delle auto a combustione interna? Si, ed è pericolso”, di Leo Dertona per Scenarieconomici, 19 febbraio 2023
Il particolato atmosferico, la polvere intangibile, è definito come la forma d’inquinamento atmosferico più pericolo per la salute umana, per la sua capacità d’infiltrarsi negli organi e nel sangue, causando malattie cardiache, respiratorie e morte prematura.
Per questo motivo, i governi hanno incentivato pesantemente il mercato a passare alle autovetture elettriche per ridurre l’inquinamento atmosferico e quindi le emissioni di particolato. Tuttavia, una nuova revisione della letteratura scientifica suggerisce che i veicoli elettrici potrebbero non ridurre i livelli di PM come ci si aspetta, a causa del loro peso relativamente elevato.
Analizzando la letteratura esistente sulle emissioni non di scarico di diverse categorie di veicoli, questa revisione ha rilevato che esiste una relazione positiva tra il peso e i fattori di emissione di PM non di scarico. Inoltre, i veicoli elettrici (EV) sono risultati più pesanti del 24% rispetto ai veicoli equivalenti con motore a combustione interna (ICEV). Di conseguenza, le emissioni totali di PM10 dei veicoli elettrici sono risultate pari a quelle dei moderni ICEV, nonostante queste comprendessero quelle dei motori.
Le emissioni di PM2,5 sono risultate inferiori solo dell’1-3% per i veicoli elettrici rispetto ai moderni ICEV. Si può quindi concludere che la maggiore diffusione dei veicoli elettrici non avrà probabilmente un grande effetto sui livelli di PM. Le emissioni non da scarico rappresentano già oltre il 90% delle emissioni di PM10 e l’85% delle emissioni di PM2,5 da traffico. Queste percentuali continueranno ad aumentare con il miglioramento degli standard di scarico e l’aumento del peso medio dei veicoli. La politica futura dovrà quindi concentrarsi sulla definizione di standard per le emissioni non da scarico e sull’incoraggiamento alla riduzione del peso di tutti i veicoli per ridurre significativamente le emissioni di PM da traffico. Però se si viene ad incentivare una politica sul peso il veicolo elettrico non risulterà la soluzione migliore, a favore invece dei motori ICEV più moderni o di altre soluzioni ancora in sviluppo. Questo rende ancora meno sensato il divieto, votato dal Parlamento Europeo , di vendita delle auto a combustione interna dal 2035.
Riferimmento:
https://scenarieconomici.it/le-emissioni-di-particolato-delle-auto-elettriche-sono-superiori-a-quelle-delle-auto-a-combustione-interna-si-ed-e-pericolso/
Commento
https://twitter.com/Wondercri1982/status/1627783713248387072/photo/1
Integrazione.
1. DIRETTIVA GREEN SULLE CASE/ “Provvedimenti senza realismo che ci fanno tutti più poveri”, di M. Ferrario per Il Sussidiario, 23 febbraio 2023
La direttiva case green approvata dalla commissione Industria ricerca ed energia del parlamento Ue è pericolosa per l’Italia. Alessandro Panza (Lega) spiega perché
La direttiva Ue sull’efficientamento energetico è stata approvata lo scorso 9 febbraio dalla commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia del Parlamento europeo con 49 voti favorevoli, 18 contrari e 6 astensioni e da allora fa sempre più discutere.
Ed è un bene che sia così, visto che comporta conseguenze potenzialmente gravissime per le famiglie italiane. L’iter sarà lungo e laborioso, proprio per questo spetta al governo italiano adottare la strategia di intervento più opportuna per modificare la direttiva in modo da mitigarne l’impatto.
Ne abbiamo parlato con l’europarlamentare della Lega Alessandro Panza, responsabile delle politiche per le aree montane della Lega e consigliere per la montagna del ministro per gli Affari regionali.
Onorevole Panza, facciamo il punto su questa direttiva, che per i più e ancora un oggetto misterioso. Come nasce questo provvedimento e a che scopo?
Nel dicembre 2021, nella seconda e ultima ondata di pubblicazioni di testi normativi e non del pacchetto “Fit for 55”, la Commissione europea ha pubblicato la proposta legislativa sulla “Energy Performance of Buildings” (EPBD). Nelle settimane precedenti uscirono documenti non ufficiali (leak) della direttiva, rilanciati anche sulla stampa italiana, che prefiguravano lo spauracchio del divieto di vendita o di affitto in caso di mancato raggiungimento degli standard energetici previsti dalla normativa stessa.
Le reazioni furono giustamente forti.
Infatti. Forse per questo motivo la Commissione nel documento ufficiale non presentò mai tali tipi di divieti, anche se le specifiche restrittive sulle classi energetiche rimasero e furono la base di discussione per Consiglio e Parlamento. Da allora però è intervenuta la guerra in Ucraina, che ha spinto le istituzioni europee ad essere ancora più ambiziose nella ricerca dell’autonomia energetica, vedendo l’efficienza energetica degli edifici come una delle prime armi su cui puntare.
In sintesi di che cosa parliamo?
Di un ulteriore svantaggio per l’Italia. Come già accaduto in altri ambiti, queste politiche europee per l’efficientamento energetico degli edifici penalizzano il nostro Paese, come è già successo per la produzione alimentare con il Nutriscore, con l’etichettatura del vino equiparato alle sigarette, alla farina di grillo o alla distruzione del nostro comparto automobilistico con il delirio dell’auto elettrica, che non si sa come caricheremo. L’efficientamento energetico è un tema che sta a cuore a tutti, ma va affrontato con concretezza e realismo. Non possiamo sacrificare sull’altare dell’ideologia green intere categorie produttive fondamentali per la nostra economia.
Ma cosa ci chiede l’Europa con queste direttiva sulla casa?
Tutti i nuovi edifici costruiti nell’Unione Europea dovranno essere a emissioni zero entro il 2030, mentre gli edifici esistenti dovranno diventare a emissioni zero entro il 2050 con step intermedi per gli immobili residenziali: raggiungere la classe energetica E entro il 1° gennaio 2030 e la classe D entro il 1° gennaio 2033. Il punto cruciale del testo è rappresentato dagli articoli che delineano classi energetiche minime e tempistiche, suddividendo fra pubblico e privato e poi fra edifici nuovi ed edifici esistenti.
Per gli edifici nuovi?
L’articolo 7 tratta dei requisiti minimi per gli edifici nuovi: gli edifici pubblici devono essere “Zero-Energy Buildings (ZEB) dal 2026 e quelli privati dal 2028. Per ZEB si intendono edifici il cui impatto complessivo fra entrate (produzione di energia rinnovabile) e uscite (consumi) sia quantomeno vicino allo zero. Ma ancora più preoccupante e utopistico per il nostro Paese sono i requisiti minimi per gli edifici esistenti.
Cosa dicono questi requisiti?
Gli edifici pubblici (e non residenziali in genere) entro il 2027 dovranno essere almeno in classe energetica E ed entro il 2030 almeno in classe D, per gli edifici privati invece classe E entro il 2030 e classe D entro il 2033.
È obbligatorio per tutti gli edifici?
Sono previste esenzioni per edifici che non sono soggetti a rispettare i requisiti minimi della normativa, edifici che lo Stato membro decide di mettere in tutela storico-architettonica, come gli edifici religiosi, o edifici singoli di superficie utile minore di 50mq, edifici utilizzati meno di 4 mesi l’anno. Peccato che riguardi al massimo il 22% del parco immobiliare residenziale e non oltre il 1° gennaio 2037.
Proseguimento:
https://www.ilsussidiario.net/news/direttiva-green-sulle-case-provvedimenti-senza-realismo-che-ci-fanno-tutti-piu-poveri/2494400/
Breve commento
Nefasta logica conseguenza del “Governo Dei Non Governativi”, nel punto a seguire un reminder evergreen in questo senso.
2. “Il governo dei non governativi”, Il Pedante, 24 dicembre 2017
http://ilpedante.info/post/il-governo-dei-non-governativi
Da segnalare col pennarello rosso il passaggio finale dell’articolo:
“Se le ONG che destabilizzano sono solo una minoranza (molto) rumorosa, è però vero che il governo dei non governativi rappresenta oggi la cifra tecnica dominante del riformismo più violento. Perché nel reclamare uno statuto «altro» e più alto consente di dettare le leggi senza essere legislatori, fare politica senza essere eletti, agire senza titolo e decidere senza responsabilità, disattivando in un sol colpo tutto l’arsenale delle cautele costituzionali e procedurali che si applicano agli statuti codificati. In questa deroga pascolano già da anni i banchieri centrali «indipendenti» dal potere politico, veri domini delle agende politiche contemporanee, per l’analoga e bizzarra idea che se lo Stato è inefficiente e mariuolo, i grandi azionisti degli istituti di credito privati servirebbero l’interesse generale perché «razionali». E così anche i tecnocrati, quelli che non bisogna infastidire con le opposizioni perché «competenti» e «autorevoli». E la piaga del secolo, il sovranazionalismo, dove l’illusione di uno spazio politico «altro» e migliore serve a promuovere cambiamenti incompatibili con gli ordinamenti interni delle comunità. Se certe cose ce le chiedessero i nostri ministri, sarebbero incostituzionali, o illegali. Invece ce lo chiede Leuropa, i think tank intergovernativi, l’OMS ecc. in nome dei più alti principi, cioè di chi di volta in volta li finanzia. “
Integrazione
“Case e auto, un’ideologia folle porta l’Europa al disastro”, a cura del Prof Eugenio Capozzi, professore ordinario di storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”, per La Nuova Bussola Quotidiana, 20 febbraio 2023
L’imposizione dell’adeguamento energetico delle case e del motore elettrico per le auto è figlia di una ideologia autoritaria con venature totalitarie, che è la versione aggiornata di quelle che hanno imperversato nell’Europa del Novecento. L’obiettivo “verde” di una presunta “salvezza” esige misure che distruggono il benessere dei cittadini e l’economia.
Il progresso apparentemente implacabile della direttiva Ue sull’adeguamento ecologico degli immobili e la decisione del Parlamento europeo sul bando definitivo ai motori termici dal 2035, stanno finalmente cominciando a suscitare reazioni seriamente allarmate nelle opinioni pubbliche europee. Ma tali reazioni, intorno alle quali si sta coagulando un primo, embrionale schieramento di opposizione organica tra le forze politiche continentali raccolte nei gruppi popolare e conservatore, rimangono per ora ancora prevalentemente incentrate sulla protesta per le ripercussioni negative che quelle decisioni avranno su questa o quella categoria. E quindi sulla conseguente richiesta di una modulazione e tempistica diversa, più elastica e meno perentoria, della “transizione” abbracciata apoditticamente “senza se e senza ma” dalla maggioranza dei governi e della classe politica dell’Unione.
Manca ancora in gran parte un giudizio complessivo sull’intera operazione, capace di individuarne i profondi vizi d’origine, e di mettere davvero le società europee in allerta di fronte alla logica pericolosissima per le libertà e la democrazia che sta alla base di essa.
Ciò può essere comprensibile, alla luce della martellante e incessante propaganda a senso unico imposta ai cittadini dei paesi Ue, come a quelli praticamente di tutto l’Occidente, negli ultimi anni, improntata all’allarmismo apocalittico di matrice “gretista”. Ma oggi, alla luce dello stadio ormai avanzato dei processi politici e normativi che quell’allarmismo ha determinato, non è più in alcun modo giustificabile per chiunque voglia ancora salvaguardare, nella nostra area del mondo, qualche scampolo delle libertà civili che in essa videro la luce secoli fa, e oggi sono sempre più messe nell’angolo da poteri invasivi come poche volte lo sono stati nella sua storia.
Se infatti si considerano l’imposizione della radicale trasformazione delle unità abitative e quella dell’altrettanto radicale passaggio ai motori elettrici risalendo alla loro radice culturale si giunge alla conclusione che, parafrasando Shakespeare, “c’è del metodo in questa follia”. Non si tratta in entrambi i casi di una superficiale fascinazione o suggestione, ma di un disegno ideologico e politico molto preciso.
Il tratto comune dei due programmi, infatti, prima ancora che nei danni da essi prodotti nel loro svilupparsi, sta proprio nel modello di società che essi prefigurano, nell’idea di politica che essi presuppongono, e nella concezione dell’Unione europea che essi ormai stanno consolidando.
Essi sono, infatti, il frutto coerente di un’ideologia autoritaria con possibili venature totalitarie, derivazione e versione aggiornata di quelle che imperversarono nell’Europa del Novecento. La base teorica su cui le politiche impositive della “transizione verde” si fonda è un assioma dogmatico, sul quale si innesta un progetto di radicale palingenesi dell’umanità in chiave gnostica: lo sviluppo della civiltà umana, e segnatamente delle società industriali, è letale per l’ecosistema e per l’umanità stessa, perché attraverso le emissioni di anidride carbonica genera un mutamento del clima di origine antropica, che, se non frenato, produrrà uno sconvolgimento ambientale con la fine della vita umana, e di molte altre forme di vita, sul pianeta.
Si tratta di un assioma totalmente indimostrabile, non “falsificabile” in base ai dati disponibili, ma sostenuto da istituzioni internazionali (a partire dall’Onu) attraverso ricerche da loro sovvenzionate proprio allo scopo di alimentarlo, ed echeggiate da un sistema mediatico pressoché unanimistico: controllato, finanziato, incentivato, condizionato, intimidito da poteri pubblici nello stesso senso. A partire da quell’assunto – che implica una caricatura moralistica dell’economia e della politica, imperniata su un concetto vacuo di colpa collettiva da espiare – i poteri statuali e superstatuali occidentali, e in particolare l’Unione europea, sostengono che la priorità assoluta della politica è quella di affrontare questa “emergenza” primaria, perseguendo per via normativa la “correzione” della catastrofe climatica provocata dal genere umano “cattivo”, ad ogni costo, al più presto (“il tempo sta scadendo”, “la nostra casa è in fiamme!”) e con ogni mezzo disponibile, senza alcuna eccezione.
Ogni altro obiettivo della politica e dell’economia, davanti all’obiettivo della “salvezza”, deve necessariamente passare in secondo piano: inclusi lo sviluppo economico, i livelli di benessere, l’occupazione, financo la libertà di scelta individuale su consumi, uso e gestione della proprietà. A nulla vale obiettare che tutte le misure su immobili e auto, quand’anche attuate pedissequamente, diminuirebbero le emissioni di CO2 di una percentuale infinitesimale sull’insieme della CO2 emessa nel mondo.
Proseguimento:
https://lanuovabq.it/it/case-e-auto-unideologia-folle-porta-leuropa-al-disastro
Commento
“Rispetto ai totalitarismi del passato non c’è però alcuna promessa di sviluppo, di benessere o di gloria, ma al contrario si predica la rinuncia, la cancellazione della storia, della cultura e persino della bellezza, in nome di un futuro di decrescita, economica e demografica, e di degradazione morale”, Ilaria Bifarini, economista
Riferimento:
“La deriva di Sanremo e non solo: ecco cosa si cela dietro il “Blackout” dell’Occidente”, Il Ghibellino, Blog di C. Puglisi, 16 febbraio 2023
Numerose sono le polemiche che hanno visto come protagonista il recente Festival di Sanremo. Nel mirino dei critici sono finiti i contenuti ad alto tasso ideologico-propagandistico (e spesso di dubbio gusto) che hanno dominato la scena di quella che ufficialmente è ancora (o, per lo meno, avrebbe dovuto essere) la più importante manifestazione canora nazionale. Tuttavia non è una grande novità: l’intera produzione culturale occidentale sembra attraversata da una crescente mancanza di originalità e, per contro, da una sempre più invadente presenza dell’ideologia promossa da una parte (evidentemente molto influente) delle élite dell’Ovest del mondo.
Un’ideologia di cui si parla ampiamente nell’ultimo libro della saggista ed economista Ilaria Bifarini, intitolato “Blackout“. Un saggio che è già divenuto un caso di successo.
Proseguimento:
https://blog.ilgiornale.it/puglisi/2023/02/16/la-deriva-di-sanremo-e-non-solo-ecco-cosa-si-cela-dietro-il-blackout-delloccidente/