Ricevo e volentieri pubblico. Un altro artiucolo, sempre del figlio MarcoTuri, a questo link.
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Arai Daniele non sarà più qui fra noi per un pò di tempo. Almeno per quello che Dio deciderà.
Si è infatti addormentato in pace, a Fatima, il 25 novembre ultimo scorso, alle 20.30 del Portogallo. Gli erano accanto persone care, ed un sacerdote della tradizione, appena allontanato dalla Fraternità San Pio X per dissidi sul sedevacantismo e per la sua posizione “non una cum”.
Noi, i sei figli nati dalla sua unica amata moglie, chi in Brasile, in Svizzera ed in Italia, a turno lo abbiamo assistito tutti, nelle ultime settimane, da quando l’anemia senile ha cominciato la sua opera devastatrice. Praticamente se ne è andato via come un fulmine, in tre mesi, senza mai perdere la lucidità, senza sintomi tipici della vecchiaia, senza essere costretto a rimanere allettato, parlando della “sua” adorata tradizione cattolica, della Messa di quando era bambino; conversando come uno stoico, con grandi pause di sonno e silenzi quasi assordanti; tenendo duro come un samurai. Non ha sofferto e per questo diceva di essere un privilegiato.
In una delle ultime discussioni con me, durante la malattia, rammentava che eravamo due privilegiati. Mangiava poco, quando avrebbe dovuto farlo; e si permetteva anche il lusso di dire che il peccato comincia dal mangiare. A due passi dalla stanza dove il 25 marzo del 2011 ricevetti una rivelazione, quella sulla Resilienza cattolica che fece saltare sulla sedia per il suo forte impatto e la necessità di andare oltre la resistenza, nei tempi attuali, Brunero Gherardini; lui, mio padre, mi confermò di averne ricevuta un’altra, molto molto simile alla mia e soprattutto chiarificatrice per quanto riguarda ciò che attiene alla carità; e, a conferma di ciò che appresi io, a suo tempo, come dovessi essere l’esecutore materiale e morale, anche per vece sua.
Mi aveva delegato ad un compito arduo che mi gettò subito nel panico. Perché a questo se ne combinarono altre di richieste, con altrettante promesse, come quella di ritenermi libero anche economicamente, di continuare la sua opera, …alla mia maniera; tutte cose che, sebbene mi relegassero ad un ruolo di un impiegato speciale …dal giorno dopo il decesso, mi sono accorto come si reggessero su un filo sottile, facilmente smontabili: chissà se da Cielo o dalla sua incapacità ultima, di mettere tutto in sequenza, secondo una logica non solo spirituale, ma anche testamentaria e matematica, il cui calcolo non gli apparteneva più da tempo, riversando tutto, a causa di una assenza totale di logica, nel caos più totale.
Come la cessione della casa dove abitava, lui ancor vivo, lui che aveva sempre creduto, almeno spero e credo, nel miracolo fino all’ultimo, fino a che il corpo è in vita, nella Provvidenza, nelle Grazie. Invece no, davanti a me, senza dirlo ha ceduto ad un fantomatico tradizionalista il suo studio e tutto ciò che in esso vi era contenuto, persino il computer. Un tipo che, approfittando del suo stato di salute, anche se dietro insistenza di mio padre, vi entrerà con sua moglie qualche giorno dopo i funerali, vantandone un diritto giuridico, con ancora dentro tutti gli effetti personali e l’arredo. Tanta incoerenza, proprio quando avrebbe dovuto circondarsi solo di persone fidate. E a me una consegna che cozza con ciò che gli eredi disporranno delle sue volontà non espresse su carta, che alla fine non saprei nemmeno come esercitare interamente, ora come ora, alla maniera come lui voleva, nella carità; ma che sarà sempre e solo alla maniera di Dio, come ci insegnava San Paolo, lontano da Mammona, per rimanere liberi e liberare e non essere condizionati dal mondo esterno e dal potere economico, che mio padre ha di nuovo permesso anche sul punto di morte di corrompere il suo trapasso nella assenza di giustizia, di cui qualcuno dovrà rendere conto a Dio.
Nonostante le sue ultime parole, pertanto, per sopravvivere io e far rivivere in me mio padre, ho non solo scelto di rimanere vivo e lucido (cosa che lui non lo era più, alla fine) e scelgo di vivere nella mia libertà, nella carità, per la sua e mia salvezza, come da sua visione, ma al di fuori dei suoi ordini strampalati e delle sue disposizioni che non hanno trovato alcun riscontro oggettivo; e che,invece, hanno solo generato ulteriore confusione anche fra i fratelli oltre che fra i seguaci tradizionalisti e sedevacantisti. Perché ciò che avevo ricevuto da lui per continuare l’opera già mi è stato sottratto, a partire dal luogo in cui operare e che dava testimonianza ad Arai di quanto indefessa fosse stata la sua opera, a partire dalla Fondazione ProRomaMariana, dove mi voleva come suo successore naturale e spirituale.
Mio padre cercava fino all’ultimo di gestire ogni cosa passasse dalle sue volontà e dall’idea di giustizia. In un attimo ha perso il controllo di tutto e qualcuno ne ha abusato. Anche la bara con cui voleva essere sepolto, già era in casa. L’ha vista, l’ha toccata. Avesse avuto più forze in corpo, ci si sarebbe anche sdraiato dentro. Di sicuro si è accertato fosse comoda. Pieno stile Arai Daniele, tra cinismo e ilarità, scherzo e serietà. Una vita programmata fino alla fine dei suoi giorni in questa terra, così come la conosciamo. Tranne le ultime ore consegnate nelle mani di un tal Nuno, che non avrà vita facile con me e nemmeno con i miei fratelli.
Con mio padre, fra gli ultimi argomenti, ci sono stati Giovanni XXIII ed il modernismo con quelli che papà chiamava “i compagni di merende”; la terra piatta, pensate, persino questo tema, che lui mi ricordava essere stata sempre la tesi della Chiesa e di cui recentemente aveva sentito parlare di questo argomento con molto interesse. Da pilota capiva bene che se la terra compie il giro intorno a se stessa in 24 ore a 1680 km/h, nessun aereo può correrle dietro e dall’altra, se aspetta, la destinazione del viaggio gli passa sotto i piedi. Se così fosse, che ruota attorno a se stessa. Ha trovato anche molto ben argomentata la mia tesi secondo cui, se la terra girasse come dicono ad una altissima velocità su se stessa, gli aerei potrebbero non esistere, perché basterebbe un dirigibile o un pallone geostazionario che fungesse da ascensore. Lui è stato pilota e sa bene di cosa parlassi.
Ma gli ci sarebbe voluto ancora qualche mese, per continuare a parlarne. Non ne aveva più di tempo ma stava sereno, perché aveva seminato bene con questo figlio, suo malgrado pieno di interessi e curiosità. Altro elemento che lo ha toccato positivamente è stato l’argomento anche questo da me trattato con alcuni altri amici sul capitolo 53 del Salmo di Isaia in cui si dice che Gesù è il Nome di Dio. Tutti argomenti che comunque non modificavano il suo desiderio di togliersi quanto prima nel posto giusto ogni perplessità e raggiungere così, la Verità. Lui è sempre stato un assertore che la conversione degli ebrei avrebbe cambiato in positivo il mondo, non per causa dei cattolici tiepidi che Gesù già sta vomitando da molto tempo.
Purtroppo, sebbene abbia sempre preteso di condividere tutto: i suoi amici erano “nossos amigos”; quello che scriveva dovevano leggerlo tutti e trovava la scusa di far correggere i testi dei suoi libri solo perché la gente ne comprendesse i contenuti e poter avere la certezza che qualcuno li leggesse. Ottimi saggi nei tempi del tutto e subito o degli “immediati” delle chat. Alla fine, invece, in sostanza, non ha mai condiviso i suoi dolori, le sue speranze, i suoi progetti, il suo presente, le sue belle case. Avrebbe potuto vivere di rendita, invece stava sempre con il frigo vuoto ed il riscaldamento spento. Ognuno era depositario di una parte di Arai. Amava raccontare ciò che gli faceva comodo, mentre i vicini, alcuni familiari, e chi lo conosceva, raccontavano tutte altre storie. Ma quello che importava a lui, al di là di quello che pensassero gli altri, gli premeva si sapesse pubblicamente, delle sue scelte, che era un incallito sedevacantista; che per lui l’ultimo Papa era stato Pio XII.
Si sapeva tutto dei suoi studi su Fatima e sulla decadenza della Chiesa Cattolica a causa di ripetuti scismi neomodernisti. Sulla Santa Messa era intransigente. Della Apocalisse gli importava poco e niente perché i danni alla Fede erano quelli su cui bisognava tenere alta l’attenzione. Ho completato io per lui la revisione della sua ultima opera che ha voluto completare per i tipi di ChiesaViva. Se ne è andato senza ricevere alcuna risposta dall’ing. Adessa, a cui, alla maniera sua, nemmeno ha voluto raccontare che il suo stato di salute non gli avrebbe dato possibilità alcuna di arrivare alla fine dell’anno. In coerenza con la sua vita, è riuscito a mettere insieme e a combinare magistralmente la sua data di nascita 13 maggio al centenario delle Apparizioni di Fatima. Ha praticamente vissuto nel secolo più duro della storia, essendo nato nel 1934 a Sao Paulo del Brasile e avendoci lasciati a Fatima nel 2017.
Pochi sanno però che mio padre, per dedicarsi interamente a Dio, ha perso ciò che di più caro aveva: la famiglia. Mia madre donna intelligente, di rara bellezza, le aveva offerto tutto di se. Le aveva dato 7 figli, uno più bello dell’altro: brillanti, tutti laureati, che a sua volta hanno generato altrettanti bei nipoti. “Non gli mancava nulla”, diranno i dialettali alla morte del beato Pio IX, associandolo a “maramao”.
Ha creato un terremoto a causa della sue scelte unidirezionali, che nessuno condivideva a causa dell’asperosità del suo carattere; ha devastato l’animo di figli ancora minorenni, che di religione non ne hanno più voluto sentir parlare per anni; si è allontanato da mia madre desiderando di rimanerle violentemente collegato, ma senza più averne i frutti dell’amore e del desiderio.
Parlava di amore dei Cuori Immacolati di Gesù e Maria, ma ha seminato odio, ira, rabbia, dubbi, animosità, inquietudini.
Ha costruito distante incolmabili tra tutto ciò che amava, senza ricavarne la serenità di fede, la ragione stessa per cui “credeva” fare tutto ciò. E quello che era unito lui ha separato. Ciò che era integro lo ha rotto, ciò che cresceva come virgulto o albero da frutti, ha scosso fino a spezzarne persino i rami e disperderne le foglie ed i boccioli come fosse sempre autunno, la stagione che ha scelto per andarsene, con un addio sordo, lacerante e mistico.
Ha vissuto nel boom economico, dove ha preso e consumato tutto e se ne è andato in un clima surreale, come avesse voluto essere lui la storia, determinando nel bene e nel male le scelte degli altri.
E’ stata tutta una tempesta la sua vita, e per la legge del contrappasso è stata una pace solo, ed insisto “solo” quando ha smesso di pensare, di programmare, di decidere per tutti, anche per i sacerdoti suoi amici. E questo, solo quando Dio lo ha ripreso nelle sue braccia offrendogli una pace interiore che aveva perso, chissà in quale momento della sua vita.
Perché tanti sono stati i momenti di dolore acuto: a 11 anni quando in Brasile il padre e la madre dovettero decidere sulle sorti del loro futuro e dei figli; a 35 anni quando i miei genitori persero Flavio, il figlio nato nel 1969; nel 1973, a 39 anni quando con una telefonata apprese la notizia che nella notte la madre si era spenta a Sao Paulo del Brasile, abbandonata a se stessa, senza parenti al suo fianco, senza che lui fosse riuscito mai a pacificarsi; a 50 anni quando a Fatima dovette ricominciare una vita senza nessun affetto caro al suo fianco.
Perché racconto tutto ciò. Perché mio padre aveva avuto non tanto delle vite parallele, ma di sicuro una sequenza di vite ed eventi che avevano marcato duramente la sua traiettoria spirituale. Fu nel 1973 che conobbe a Velletri il santo sacerdote Don Francesco Putti, l’ispiratore di ogni scelta successiva di mio padre; di cui per anni ha conservato a casa il suo altare lasciatogli in eredità per i tanti servigi offerti da mio padre su SISINONO.
Furono gli anni in cui conobbe anche Padre Luigi Villa e molti altri sacerdoti della tradizione. Ebbe rapporti stretti con mons Marcele Lefebvre, mons De Castro Mayer vescovo Brasiliano, col gruppo di Permanencia di Gustavo Cursào, in Brasile. In maniera indefessa dedicò tutto se stesso per la salvaguardia della tradizione cattolica in anni in cui tutto cambiava. Molti giovani sacerdoti della Fraternità San Pio X, quelli di Econe per capirci, avevano avuto con lui un rapporto epistolare intenso per capire bene come influenzare mons Lefebvre, più preoccupato per la sopravvivenza dei suoi seminari e del futuro dei suoi sacerdoti che non delle sorti della Chiesa. Anche se a mio padre confidò che il futuro sarebbe stato dei laici.
In quel periodo cercai di stargli appresso perché ho sempre amato mio padre. Sentivo di dover entrare in seminario per seguirlo come sacerdote, ma i suoi amici sacerdoti, forse anche per lo zampino di mio padre, non mi vollero né nel 1980 e nemmeno nel 1985, nei miei due Ritiri per Esercizi Spirituali con il metodo di Sant’Ignazio. Due volte tentai di entrarvi e due volte mio padre, dietro pressione di mia madre, mi venne a riprendere. E tutto ciò che mi insegnò in quegli anni appartengono al Marco di oggi, all’Arciere di Nostra Signora della Tenda per la resilienza, l’Arca della Bellezza e ai Borghi eucaristici ed agricoli di Xenobia, che mio padre avrebbe voluto alla fine sostenere anche con i soldi ricavati dalla svendita della casa in un momento di chissà quanto lucida follia.
A Fatima, a conti fatti mio padre aveva costruito qualcosa di simile, ma lo ha lasciato morire, proibendomi di tornarvi; anzi, mandandomi in esilio in Brasile, scomunicandomi di fronte agli amici, tacciandomi di eretico. Salvo poi, farmi chiamare da mio fratello perché aveva urgenza di parlarmi, di chiarire tutto, di riabilitarmi e onorandomi dell’unico gesto testamentario a mio nome. Lo aveva fatto solo per salvaguardarmi, penso e per tenermi lontano dalla sua vita privata a Fatima. Io cercavo la soluzione ed una risposta per la Chiesa del futuro; lui cercava il suo passato e la sua serenità, alla fine.
Mi lascia in fondo, questo sicuramente, senza saperlo perché era lì sugli scaffali del suo studio e l’ho preso con me, con l’approvazione dei miei fratelli, una reliquia di San Francesco Saverio. Il 3 Dicembre ho sentito il cofondatore dei Gesuiti oggi più che mai molto vicino a me. E’ il santo che fondò la comunità di Nagasaki.
Per questo, che tornando a Fregene dopo l’addio a mio padre, prima che lui passasse a miglior vita, decisi di buttar giù i primi capitoli del libro che dedicherò a lui: “Ad ogni morte di padre. Io, mio padre, ed il corpo delle donne”. In parte mio padre credeva che fossi nel giusto, anzi, sapeva che avevo più risposte di lui per la formazione di nuove comunità della resilienza, che non mi vergognavo e non temevo il giudizio degli altri come lo temeva lui; ma dall’altra mi voleva attivo nel comunicare che la situazione della Chiesa era già apocalittica, che l’abominio della desolazione già stava nel luogo su cui avrebbe dovuto regnare protempore Pietro.
Voleva che lo dicessi dai tetti, e non realizzando comunità silenti. Ma in cuor mio sia lui che io sapevamo che solo Dio poteva disporre ciò che sarebbe stato necessario ai figli dell’Uomo. Sulla Parusia avevamo discusso tanto. Avevo le mie idee e lui le sue. Ma non era di certo questo a dividerci. L’amore che ci legava era quasi viscerale, tanto che le sue ultime parole per me furono: “sei stato un buon figlio, obbediente e sempre ben disposto; non avrei potuto chiedere a Dio più di quanto tu mi hai dato nonostante il mio carattere duro, dispotico e severo”. “Oggi, se vivessi in città, mi dedicherei agli infermi, andrei a cercare le persone malate, visiterei i carcerati”.
Non aggiunsi niente alle sue parole. Sapevo che qualcosa avrei però scritto su AgereContra, visto che Matteo Castagna mi ha chiesto di scrivergli qualcosa su mio padre. Lì infatti racconterò dell’Arai spirituale, quello che ha concluso la sua vita terrena usando lo stesso atteggiamento che fu del grande santo, Tommaso D’Aquino: l’indifferenza per i suoi scritti.
Ma un fatto in particolare mi ha sorpreso di lui: sebbene avesse tentato di programmare tutto, fino all’ultimo, per la sua successione patrimoniale, morale e spirituale, qualcosa non è andato proprio come voleva. Aveva predisposto alcuni fondi per la sopravvivenza dell’opera, che non esistevano. Situazione che fa il paio con le sorti della ProRomaMariana, la fondazione lasciata morire fisicamente negli ultimi tempi da mio padre. Lasciando invece in vita, e non si sa nemmeno per quanto, il corrispondente sito internet, di cui ne ha mantenuto il nome.
Tutto perfettamente e coerentemente con il modo di pensare ed il tipico e curioso stile di questo uomo, che, a modo suo, credendosi in parte invincibile ed insostituibile, ha tanto fatto per Santa Medre Chiesa ma anche tanto disfatto, rotto, lasciato confuso, affidato a persone sbagliate e messo in crisi. Lasciando agli altri la ricomposizione dei cocci e delle questioni inconcluse. Opera che in un certo senso chiedeva a me di completare, tenendomi però lontano da Fatima ed in particolare dal luogo dove si concentrava tutto il materiale a lui riferito. A volte penso avrebbe persino preferito vedere tutto bruciato.
Dopo l’ultimo saluto, mio e dei miei fratelli, il giorno della sepoltura, sono stato contattato da amici comuni che gestiscono siti su cui sono stati ospitati nel tempo suoi articoli (in buona parte andati perduti per mano di un hackeraggio pedissequo contro siti cattolici della tradizione), o su cui si sono aperte vivaci discussioni sui temi trattati da mio padre. E ho deciso di attribuire ad ognuno di questi un omaggio-commentario a mio padre. E mentre qui ho deciso solo di trattare gli aspetti di mio padre dal punto di vista umano, come noi figli lo abbiamo conosciuto e come altri probabilmente lo ricorderanno, su altri aprirò il fronte su altri temi.
Arai Daniele era un uomo di un periodo oramai scomparso. Almeno lui così lo riteneva; appellandosi al diritto romano che esaltava la figura del Pater Familia ed i diritti di vita e morte su ogni componente la stessa. A volte mi sono chiesto se questo periodo non sia solo appartenuto alla sua mente, al suo desiderio di possesso e controllo (visto che nessuno, nemmeno suo padre aveva potuto mai esercitare su di lui lo stesso potere) perché pieno di contraddizioni.
Come il fatto che lui amasse profondamente la vita, raccogliendo grandi soddisfazioni, ma anche sonori schiaffi, non solo sul piano religioso; adeguandosi prima di tutto alle innovazioni tecnologiche che arrivavano da ogni dove, dal mondo, visto che fino a 47 anni, anno del suo pensionamento, ha viaggiato in lungo e largo per il mondo come pilota dell’Alitalia; e prima ancora di compagnie di bandiera brasiliane e svizzera.
Ricordo perfettamente nel 1972 che in casa avevamo già in un Telefunken a colori che mio padre aveva portato dal Giappone. Ha cambiato una infinità di computers dalla macchina da scrivere elettronica Olivetti all’ultimo portatile Sony, bianco come il primo televisore. Di recente si era rifiutato ad approcciarsi ai telefonini di ultima generazione, i palmari, ma credo di più perché aveva perso progressivamente la vista e riteneva che il telefono di casa fosse già sufficiente per gli usi correnti e per ricevere le telefonate di figli nipoti ed amici; che però si ostinavano a mandargli mail e a chiamarlo su skype, a cui onestamente, sempre volentieri rispondeva, seduto sulla sua poltroncina nello studio pieno di libri.
Mio padre, ha amato le donne di casa, ma anche, e soprattutto, ha molto amato se stesso. Le donne meglio era se si comportassero come ancelle, di norma; tanto che molte le sono rimaste a lungo lontante perché il carattere era pessimo.
Aveva un alto senso della dignità e ha voluto conservarla fino all’ultimo. Però, alla fine stava bene anche da solo e viveva come fosse un incallito scapolone, senza esserlo mai stato; sebbene tenesse stretto a se il santo rosario e lo scapolare.
Quando il sacerdote svizzero, Padre Eloise ha fatto riferimento alla Resurrezione, durante la cerimonia funebre tenutasi nella cappella che aveva fatto costruire vicino a casa e regolarmente consacrata, e, su cui gravava un bell’affresco con le immagini in sequenza delle tre apparizioni dell’Angelo, non ho esitato a pensare: “Dio lo ha solo allontanato per un po’, per mettere ordine nelle cose che mio padre ci ha lasciato”.
Eppure, lui c’è stato fino alla fine con il suo “fanatismo”: cosa dire del fatto che il sacerdote non abbia permesso di prendere la comunione, asserendo che nessuno ne sarebbe stato degno perché la confessione impartita oggi giorno non entra nel merito della penitenza e della volontà di non ripetere più il peccato? Non sembra piuttosto una espressa volontà di mio padre di non essere per causa sua una ragione di peccato contro lo Spirito Santo di una comunione sacrilega soprattutto dalla parte dei figli?
La domanda che oggi è lecito porsi è questa: fino a che punto era in grado di intendere e volere? Dove finiva il limite delle sue conoscenze ed il misticismo diventava fanatismo? Quando finiva la Provvidenza e la Grazia e iniziava la sua volontà ed il suo desiderio? Il suo sapere è stato modellato sulle sue esigenze materiali o ha determinato e condizionato il suo credo? Fino a che punto la sua fede non è stata condizionata dagli eventi più che dalla Verità ed esiste un punto di non ritorno in cui, impugnandola, ha finito per costruire una religione su misura? Io personalmente, come figlio sono stato incaricato, alla fine, da lui stesso, di epurare i suoi errori e di condurlo alla carità. Ma se non si passa dalla umiltà, mettendone in rilievo i difetti della superbia e della prepotenza umana, non potrò mai fare io, per lui, ciò che in vita non seppe fare e che in morte ha lasciato confuso e addirittura molto mal fatto.
Oggi, almeno di prove contrarie, di testamenti morali non ancora evidenziati, o di un atto giudiziario contro terzi, la casa di Fatima, dove per 32 anni ci sono concentrate le sue attività, rischia di finire nell’oblio. Anche dei suoi libri si avrà solo un vago ricordo. Già io come figlio, esautorato dal rappresentarne le sue istanze, non avrò alcuna ragione di portare avanti la lotta per cui si dibatteva, nella maniera che lui ha ritenuto unicamente possibile, e dalla quale non sarà possibile raccogliere frutti se non solo pensando che Dio prima di tutto è Amore e Misericordia. Suo figlio è prima di tutto un cristiano figlio di Dio, mariano e tradizionalista. Ma nella vita ha scelto di essere Arciere, perché ha una sua missione da portare avanti.
Lui ha accettato di salire sul mio carro, alla fine. Poteva non piacergli il mio codino da samurai, ma lui è morto da samurai. In questo uguali siamo. Sarà al mio fianco, qualunque scelta opportuna farò, di questo ne sono certo. E cercherò di confrontarmi con lui, ogni volta sarà necessario, ma non senza dire anche qualche verità che se anche potrebbe ferirlo, sana come il sale. Papà, alla fine Dio non ti ha permesso di corrompere la mia anima, alla tua solita maniera. Ciò che volevi lasciarmi in vita, già mi è stato tolto, per un tuo vizio di forma: non hai lasciato nulla per iscritto. Agirò per conto mio, alla mia maniera di sempre. Riposa in pace.
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