Molto spesso percepiamo, a livello quasi inconscio, certe verità, ma poi ci aspettiamo che qualcuno, dall’esterno, magari avvalorato da ricerche “scientifiche” impreziosite da titoli altisonanti, ci confermi quello che dentro avevamo già immaginato, o meglio, “intuito“, dal latino in-tueor, messo dentro. Non c’è bisogna che uno studio del MIT di Boston ci dica che chi si arrabbia più spesso vive peggio, o muore prima, o si ammala con maggior probabilità: ci sembra abbastanza evidente.
Però ogni tanto fa piacere che anche questi “scienziati” mettano il bollino a delle verità che ci parevano scontate, specialmente quando le scoperte riguardano malattie che, al giorno d’oggi, sembrano essere appannaggio della farmaceutica, per la loro cura: “A pill for every ill” una pillola per ogni malattia, sembra essere lo slogan della medicina moderna.
E così, tanto per citarne uno, riporto il caso della cittadina di Roseto, negli USA, che attirò l’attenzione di due medici ricercatori, Stewart Wolf e J.G. Bruhn, che osservarono come il tasso di morte, di attacchi di cuore sotto i 40 anni e di altri parametri erano sostanzialmente migliori di quelli del resto d’America. Fecero quindi delle indagini sulle abitudini alimentari e sugli stili di vita dei rosetani e scoprirono che, in quanto a cibo, fumo, sedentarietà e ad altri elementi normalmente considerati concause, i rosetani erano in tutto e per tutto simili agli altri americani.
Ma c’era una differenza sostanziale: gli abitanti di questa cittadina erano tutti italiani, che praticavano una intensa vita sociale, vivevano in famiglie allargate, dove spesso convivevano tre generazioni, l’attività di comunità era molto sviluppata, sia fra famiglie che in parrocchia, e soprattutto non c’era nessuna ostetazione di ricchezza e tantomeno divisione in classi sociali (pur essendoci, ovviamente, chi era più ricco degli altri). A riprova del diretto rapporto di causa ed effetto, la controprova: nel giro di pochi anni, una generazione o poco più, man mano che la cultura dominante americana prese piede anche a Roseto, i parametri di cui sopra (infarti, morte, ecc.) tornarono a livelli “standard” USA.
Quindi la salute sembra essere in diretta correlazione non tanto con il cibo (seppure importante, soprattutto nel momento in cui ci si nutre di cibi industriali impoveriti ed avvelenati) quanto con la capacità di condivisione e di fare comunità. E a pensarci bene, se dovessimo descrivere la felicità, cosa esiste di più bello ed efficace, per svilupparla, che occuparsi degli altri? Noi che siamo genitori abbiamo avuto tutti l’esperienza dell’immensa gioia di occuparsi di questi esserini, meravigliosi, che all’inizio ci chiedono tutto, e -apparentemente- non ci danno niente. Ma cominciando così, ci si rende conto che è nell’atto gratuito e disinteressato verso il prossimo che troviamo la nostra massima realizzazione e la nostra massima felicità. All’inizio “facciamo pratica” con i pargoli, per poi scoprire, man mano che crescono, che la stessa gioia, lo stesso appagamento si prova anche nel dono gratuito verso chi non è nella nostra discendenza diretta.
E la comunità, il posto dei tanti “prossimi“, è l’ambiente ideale dove la condivisione, data e ricevuta, rimbalza moltiplicandosi e irraggiando felicità, salute e benessere in tutti i suoi componenti.
Meno male che c’è lo studio di Stewart Wolf e J.G. Bruhn a confermarcelo!
Anche: Ovodda (Sardegna), Okinawa (Giappone), Loma Linda (California), Abkhazia (Georgia caucasica), Vilcabamba (Equador), Hunza (Pakistan).
Regole:
– mangiare sano > dieta vegetale e crudista – alcuni qualcosa però di carne mangiano, ma molto poco.
– attività fisica > sempre in movimento a piedi
– psicologia > Dal punto di vista psicologico le informazioni dicono che la quasi totalità dei soggetti vive in un network sociale rassicurante (famiglia, piccola comunità o paese in cui tutti si conoscono, o condividono fortemente un unico ideale), e nel quale gli anziani sono considerati utili e rispettati. Questo porta ad un senso di protezione che amplifica e sostiene inconsciamente il sistema immunitario, rinforzandolo. Avere una forte autocoscienza, fiducia in se stessi e nella propria cultura rende inoltre più positivi e fattivi nella vita pratica, generando un circolo virtuoso. L’incertezza, il senso di pericolo, la sfiducia negli altri, nell’ambiente che ci circonda e nel futuro provocano invece inconscia depressione (malattia sconosciuta nelle popolazioni centenarie, ma diffusissima nella nostra società) e svogliatezza di vivere, con conseguente depressione del sistema immunitario, ed è evidente l’importanza del sistema immunitario nell’arrivare a traguardi di vita così lunghi. Quello psicologico è l’aspetto sul quale è più difficile agire. La nostra società troppo frammentata e competitiva è proprio l’opposto dello stile di vita di Hunza, di Okinawa, di Ovodda e di tutti i luoghi di lunga vita.
Aggiungo per esperienza personale: no alle preoccupazioni, saper dare il giusto peso alle cose.
Ciao Alberto,
qui sotto un link interessante per questo post e per tutti quelli che riguardano la salute.
https://www.youtube.com/watch?v=B5oBAPrPb1o
Grazie caro! A proposito di fenomeni strani, mai sentito parlare di Mark Komissarov? L’ho visto coi miei occhi e non ci credevo! Però anche a vedere prestigiatori non ci credevo, quindi qualche dubbio mi è rimasto…